Li fasci de le zeppe Da Vallimpuni Li fasci de le zeppe e li fòchi de San Giovanni
Una zona dell’orto vicino casa era sempre riservata “pe stipacce li fasci de le zeppe” . Lì stavano stipati , in piedi, tutti ”li fasci de le zeppe” pronti per essere utilizzati sia per alimentare il fuoco del camino di casa che per portare alla temperatura giusta il forno a legna . Oggi sembra quasi anacronistico parlarne infatti quasi nessuno sa quanto fossero importanti per la vita quotidiana “li fasci de le zeppe” e quanto fosse faticoso “annà su le macchi a falli”. Le zeppe erano costituite dallo scarto che i tagliatori dei boschi “andronavano” ,in modo ordinato, quando ripulivano i tronchi degli alberi appena tagliati ; in sostanza si trattava della parte terminale e più fina dei rami. Una volta che dal bosco ( da la macchia) a dorso di muli e di asini la legna veniva trasportata all’imposto, le donne potevano andare a “affascià le zeppe pe reportalle a casa”. Si metteva “ lu mastu a la somara” facendo attenzione a “ stregne bene la centa de lu sottopanza” e ci si incamminava “ là pe la strada de fussinfiernu pe ji su le macchi”. Arrivati, si legava “ la somara a pasce e co lu maracciu se tajavanu li scupiji pe facce le stroppe “ che servivano, una volta annodate a due a due, per legare “li fasci de le zeppe”. Si sceglieva quindi una zona comoda e lì, ordinatamente e con molta cura, una volta posizionate due “stroppe” , si depositavano uno ad uno i rami “andronati” dai tagliatori avendo cura di tagliarli a misura quando risultavano di lunghezza superiore a due metri. Quando il mucchio di zeppe raggiungeva gli 80 .. 90 centimetri di altezza, il fascio era pronto per essere legato. Si montava a cavalcioni sul mucchio stesso , si prendevano con le mani le due estremità della “stroppa” e, forzando con l’interno delle gambe e con il sedere quasi come saltellando , si tirava con forza la “stroppa”. Quando si sentiva che più di tanto non si poteva stringere , rimanendo seduti sul fascio e stringendo sempre le gambe, si legavano “ alla metetora” le due estremità della “stroppa”. Veniva quindi ripetuta l’intera operazione per la seconda “stroppa” ed il primo fascio era fatto. Alzato in piedi subiva piccoli ritocchi con “ smarracciate” se qualche frasca sporgeva troppo e si passava subito a fare gli altri tre fasci per completare la soma. Pronti i quattro fasci e con una bella sudata addosso si scioglieva la “capezza de la somara” e iniziava la fase di carico della soma prestando attenzione ad equilibrare i due lati del carico e a “tirà bene li jaccuri de lu mastu” per garantire il bilanciamento della soma ; non era raro che lungo la strada del ritorno un sasso venisse incastrato tra le zeppe sul lato più leggero del carico “ pe non fa torce la soma”. Arrivati nell’orto si scaricavano i fasci e mezza giornata era bella che passata. Intanto i fasci stagionati ,uno alla volta giorno dopo giorno , finivano nel camino “ pe appiccià lu focu , pe reattizzallu, pe fa la fiamma, pe sollecità lu bullu de lu callaru de le patate messe a coce pe fa la lavatura pe lu porcu o pe coce le patate pe fa lo pa’ “. Circa ogni dieci giorni tre o quattro fasci finivano “ ne lu furnu de lo pa’ dopo che le femmone avianu missu lu levitu e ammassatu ”. Una volta all’anno ogni famiglia destinava “un fasciu de zeppe pe li fòchi de San Giovanni” . Addirittura si sceglieva il fascio più grosso e con le zeppe più consistenti ( veniva chiamato “lu fasciu de li strippi” ) e la sera di San Giovanni Battista , il 24 di Giugno, si accendevano “li fochi”. A Vallimpuni , lungo la via maestra che attraversa l’intero abitato, si allineavano alla distanza di circa 20 metri “li fasci de li strippi”. Così il primo fascio stava posizionato davanti a la stalla de Marino de Giulione “ do se girava pe ji pure là la stalla de Amedeo de Sigillu” , il secondo fascio davanti alla casa de Mario de la Schiozza , il terzo davanti da Arcangeletto de Pippinella, il quarto lì da Marcantonio davanti da Jacucciu , il quinto proprio davanti a la porta de Angilucciu lu Siggilanu, il sesto do se gira pe ji jo la casa de Rocchetto de Caterina , il settimo lì a le scali de Micchele de Lisetta e l’ultimo davanti alla chiesa di Santa Margherita. Una volta terminata la posa dei fasci i giovani davano loro fuoco quando cominciava a far notte (“ tra luscu e bruscu”). Così il paese viveva di colori caldi e di ombre vive sui muri tra il crepitio delle frasche scoppiettanti al fuoco. Non appena le fiamme erano abbastanza alte , sicuramente per emulare qualche rito antico in relazione alla stagione del raccolto dei campi e per esorcizzare gli incendi nei campi di grano e di farro, i giovani iniziavano a saltare i fuochi (zompavanu li fòchi) cominciando dal primo per arrivare fino all’ultimo . Il tutto ripetutamente e alla massima velocità “pe non abbruscasse co lu fòcu” e urlando ad ogni salto:
San Giuvanni San Giuvanni sarva a mi co tutti li panni – ed anche - San Giuvanni San Giuvannittu sarva a nu co tuttu lu tittu –
Gli anziani osservavano con un mezzo sorriso sgridando a volte qualche giovane un po’ imprudente e ricordando fuochi giganteschi probabilmente non veri di quando loro erano giovani e li saltavano. Alla fine tre donne di una certa età abbastanza scanzonate , allora simbolo del paese, chiudevano la festa saltando i fuochi quando ormai le fiamme si erano abbassate. - Mica ce vulimo pelà- dicevano rispondendo alle incitazioni degli uomini che ripetevano - Forza m’po’ … ma quanno zompate!! ??-.
Erano Rosotta (moglie di Carlo Torquati) , Marianna la Schiozza (moglie di Giuseppe Assogna) e Assuntozza (vedova di Girolamo Assogna e moglie de zi’ Checco). L’ultima volta che a Vallimpuni sono stati fatti “li fòchi de San Giovanni co li fasci de li strippi “ era il 24 giugno del 1957; ben 49 anni fa. CE.NA.
|