La Svecciatrice Mio padre la Svecciatrice l’aveva comprata da una signora di Piedelpoggio che si era trasferita ad Ostia e questo accadeva nella tarda primavera del 1954. Ricordo che quando la portò a Vallimpuni stava legata sopra il carretto trainato dalla somara di nonno Angelo e mi sembrò subito un grosso macchinario.L’idea era quella di utilizzarla per mondare il grano di casa ma anche di affittarla agli altri contadini che ne erano sprovvisti. Fu riposta nella cantina che ha l’ingresso lì sotto l’arco di casa mia e dopo un paio di mesi, una volta finita la trebbiatura nelle aie del paese, iniziò a lavorare con il suo ripetitivo rumore; un misto di battuta del corvello sulla ruota dentata per far scendere i chicchi di grano e di roteare e strusciare dei chicchi dentro il grosso cilindro in ferro per la selezione. Ovviamente tutti i movimenti del macchinario erano mossi da un’ unica manovella montata sulla parte frontale della Svecciatrice che manualmente veniva fatta girare in senso orario con discreto affaticamento dell’avambraccio del manovratore. Ricordo il grasso che contornava la ruota dentata per minimizzare , per modo di dire, l’attrito tra le parti metalliche. All’epoca, dopo la trebbiatura, il grano che entrava in cantina doveva essere svecciato cioè mondato e ripulito dei tanti semi estranei ( di veccia appunto ) anche perché i diserbanti non esistevano ancora e se si voleva la farina bianca bisognava andare al mulino con il sacco pieno solo di chicchi di grano. Per di più se si voleva seminare il grano per la stagione successiva ( pe li suminti) si doveva assolutamente svecciare il grano. Ricordo che allora andava per la maggiore un tipo di grano denominato “la saracola” che si presentava con dei bei chicchi tondeggianti e che (facià pure un dieci se la stagione era stata bona). Produceva cioè un quintalaggio di raccolto 10 volte superiore a quello della semina. Ogni famiglia quindi doveva svecciare il grano e mio padre, in uin piccolo quaderno nero si appuntava i giorni di lavoro e presso chi andare a svecciare. Iniziavamo con la svecchiatura del nostro raccolto e poi, caricando e scaricando la Svecciatrice ogni volta dal carretto trainato dalla somara di nonno Angelo, andavamo presso le cantine (le vote) di quelli programmati nel quadernino nero. Avviamente ciò non accadeva solo a Vallimpuni ma ci recavamo anche in altre frazioni dell’Altipiano e puntualmente, alla fine di ogni commissione, mio padre appuntava quanti quintali di grano erano stati svecchiati per poter conteggiare quanto riscuotere. Ma allora la liquidità era una parola difficilissima e si doveva poi ripassare più volte per restringere quei quattro soldi. Le fasi operative della svecciatura consistevano nel posizionare e livellare la Svecciatrice, nel porre sotto di essa i cassetti di raccolta delle selezioni secondo una numerazione progressiva, nel riempire con le sementi da svecciare l’imboccatore posto in alto sopra il corvello, nel verificare che il corvello fosse giustamente alimentato regolando la bocchetta di scarico dall’imboccatore e nell’avvitare la manovella che poi a fine corsa iniziava a far muovere tutto il macchinario.Ti sedevi davanti alla Svecciatrice sopra una banchetta ed iniziavi a svecciare dando la giusta velocità al cilindro che carellava e ruoteava i chicchi fino a depositarli nei cassetti di selezione. Ovviamente dopo circa un ora e mezzo eri cotto e allora un secondo addetto si poneva al tuo posto mentre tu controllavi se l’imboccatore era pieno di sementi, se il corvello si intasava e se i cassetti di raccolta erano da svuotare. La padrona del granaio (se se lo recordava) portava una bottiglia di vino e spesso c’era anche l’invito a pranzo. Ma anno dopo anno diventava sempre più difficile “accudire” la Svecciatrice e, dopo alcune stagioni nelle quali veniva data direttamente ai pochi che ancora dovevano svecciare il grano, fu rivenduta da mio padre a Zi’ Pietrella e la Strava . La Svecciatrice dopo tanti anni è ancora funzionante e tuttora mio cugino Antonio la utilizza per le sue selezioni di semi. L’ho rivista ed è ancora bella e funzionante ma non esce più . Chissà forse si sente inutile o si vergogna e poi (chi lu retrova più lu carretto co la somara co tantu de finimenti ; e po’ do stau li contadini che je serve lo granu pe li suminti ?)
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