Tantu quessa è... Da Vallimpuni
Tantu
quessa è carne che cresce Ora che in tante frazioni ,eccezion fatta per il periodo estivo, è quasi impossibile incontrare gruppi di ragazzi che scorazzano per il paese, è ancora più facile e ricorrente tornare a quando eravamo in tanti che quotidianamente inventavamo giochi e attività per trascorrere nel modo migliore le giornate. Allora era normale per tutti i ragazzi collaborare con la
famiglia per svolgere le tante attività contadine stagionali ma fuori stagione
era altrettanto normale che, intorno alle 9 di mattina, tutti uscivamo di casa
per tornarci solo brevemente all’ora di pranzo e poi a sera quando “faceva scuru”. E in quelle ore di vera libertà cosa accadesse in casa lo capivamo solo ascoltando, di passaggio, il tipico quotidiano rumore “de lo battutu” che altro non era che il ripetitivo battere con la “mannaretta su lu tajiere” per tagliuzzare al meglio il lardo di ventresca necessario per il sugo del pranzo. Se non lo sentivi o la famiglia stava tutta male o erano andati tutti a trovare qualche parente. Allora Vallimpuni, come tutte le frazioni dell’altipiano Leonessano, non era asfaltato, solo la via principale che era ed è intitolata a Santa Margherita era “sergiata” con tanti sassi tondeggianti lisciati dal passare “ de le barbozze e de li trajuni “ altre che dai ferri degli asini e delle vacche. Le piazzette invece erano tutte in terra battuta con un po’ di breccino sopra che creava tanta polvere d’estate. Su questo impianto di “sergiata” e di terra battuta si può dire che noi ragazzi razzolavamo dalla mattina alla sera provocando grossi danni ai nostri strani scarponcini per quanto questi potessero essere corazzati in proposito. Infatti proprio nella speranza che potessero durare di più, quanto uscivano da “la bottega de lu carzolaru” erano dotati di bollette sul fondo della pianta e del tacco, di piastrina sui due estremi anteriore e posteriore e di ferretti sulla punta. Noi li chiamavamo “li scarpuni” e le mamme ogni domenica mattina “ li tignianu co la fulina de lu callaru” così ,almeno per l’ora della messa erano accettabili e dignitosi. “Le mammi” …. Ricordo che ci dicevano – Stite attenti recà co si sassi , che se paritu non venne la vitella, mancu li sordi pe recarzavve ci stau – e avevano ragione anche perché poi erano loro che dovevano convince “li padri” ad andare da “lu carzolaru a recomprà le scarpi”. “Lu carzolaru de
Valampuni” era per tutti Ernesto di Piedelpoggio e di norma ,”quanno se annava a ferrà la somara o le
vacchi”, sempre a Piedelpoggio da Eufranio “ lu ferraru”, si passava da Ernesto “ a fa resolà li scarpuni o a refalli novi”. Poiché era assolutamente impossibile pensare di portare direttamente a Piedelpoggio il ragazzo che andava “recarzatu” provvedeva il padre a prendere la misura del piede con una precisione che è tutta da raccontare. In genere il padre spezzava una frasca , cercando di sceglierla abbastanza dritta “da lu fasciu de le zeppe” sempre presente vicino al camino poi ti chiamava e diceva: - “A recà….. Levate la scarpa e lu pedalinu che te misuro lu piedi pe refatte le scarpi”-. Finita questa operazione il padre misurava la lunghezza del piede presentando la frasca sotto la pianta del piede e tagliandola leggermente abbondante rispetto alla misura (se così si può chiamare) tra il tallone e la punta delle dita. Qualche volta “lu
bardasciu” di turno chiedeva al padre se perché la misura fosse stata presa
abbondante e la risposta era sempre la stessa – Tantu quessa è carne che cresce- Dopo una mesata arrivavano “li scarpuni novi” che si indossavano alla prima domenica successiva l’evento. Spesso ci sciacquavi dentro e a volte ti andavano un po’ stretti . In quest’ultimo caso ti dicevano subito – Dio te binidica quantu si crisciutu- !!!
CE.NA |