Le Cargare

 

Oramai le testimonianze lungo “ li macchiuni e li crippuni” dei terreni e boschi nei luoghi ove fino agli anni sessanta si realizzavano “le Cargare” cominciano a scomparire risucchiate dagli sterpi che nessuno taglia più.

Ma non è difficile per un occhio attento individuare tali  testimonianze tipicamente a ridosso di terreni sassosi confinanti con i boschi (le macchi) e le strade. Strade vicinali che allora le tante “barozze “ mantenevano attive e che il bestiame (vacche, pecore, capre, asini, muli e cavalli) rendeva sempre libere dalle frasche laterali che venivano mangiate ad ogni loro passaggio.

Ora i trattori, sempre più grandi, preferiscono passare direttamente sui terreni limitrofi alle strade vicinali senza rispettare le proprietà private e così le strade non sono neanche più percorribili.

Ma, messo da parte questo piccolo accenno al degrado in atto rispetto ai sacrosanti principi del rispetto della campagna, torno subito ad illustrare perché si faceva “la Cargara” e a descrivere la localizzazione dei siti ove “la Cargara” veniva fatta.

Allora tutti i lavori in muratura che venivano realizzati dalle nostre parti  necessitavano della calce che veniva prodotta in loco proprio tramite “le Cargare”. La stessa veniva miscelata con “la rena” che si andava a trovare lungo i fossi ove durante l’autunno e l’inizio della primavera le tante piogge depositavano la renella in genere ai bordi delle “pescolle”.

Era quindi indispensabile , prima di avviare la costruzione di una casa provvedere alla raccolta della rena e alla produzione della calce. Solo più tardi a questi due componenti base si cominciò ad aggiungere cemento ; quello di Cagnano Amiterno.

 

Il sito scelto  per costruire “la Cargara” doveva essere.

            - Vicino alla strada per essere raggiungibile “dalle barbozze e da li somari co li bicunsi”

            - Vicino alla macchia per minimizzare il percorso del il trasporto della tanta legna necessaria

            - Vicino alle pietraie da usare per la cottura

            - Su un terreno rialzato rispetto alla strada per evitare eventuali scoli di acque piovane

            - Sul fronte di un “creppone” per minimizzare lo scavo e posizionare al meglio la fornacetta

Spesso si riutilizzava il sito di precedenti produzioni e comunque si organizzava la squadra di lavoro suddivisa in tre gruppi .

Il primo gruppo provvedeva a scavare la buca, se non a ripulire quella precedent,e  profonda circa 2 metri e con un diametro di circa 4 metri. Il secondo gruppo provvedeva in contemporanea a tagliare e stipare nelle immediate vicinanze della fornacetta tantissima legna e fascine da ardere. Il terzo gruppo a cavare, selezionare e trasportare la pietra da cuocere intorno al diametro della buca. Guai a selezionare pietre focali che erano inadatte e non cuocevano.

Terminati questi lavori gli specialisti montavano la pietra intorno alle pareti della buca e realizzavano la volta della “Cargara” caricando poi sopra circa un metro di altre pietre  calcolando i necessari sfiati sulla base della posizione più o meno a vento della fornacetta  predisposta sul lato del terreno pianeggiante.

Finito questo lavoro, che durava anche un mese ed era dipendente dalle condizioni atmosferiche spesso avverse, si dava fuoco alla “Cargara” . Ciò avveniva con una festa in campagna proprio davanti alla fornacetta con un abbondante pranzo e tanto di brindisi ben augurante comunque dopo alcune preghiere e ripetuti  segni di croce .

La “Cargara”, una volta accesa, necessitava della presenza continua di 2 operatori addetti alla sua alimentazione 24 ore su 24. Uno degli operatori avvicinava fascine e legname alla fornacetta e l’altro spingeva dentro il tutto per mezzo di lunghe forcine di legno controllando continuamente che il fuoco fosse uniformemente distribuito all’interno e che il colore della fiamma fosse uguale in tutte le zone interne in modo da garantire una cottura uniforme e di massima resa.

Durante le ore diurne altri addetti  continuavano ad avvicinare some di fascine e legna e controllavano periodicamente come la parte esterna della pietra sopra la volta della “Cargara” reagisse alla cottura.

Capitava anche che bambini del posto affetti da forme stizzose di tosse (allora si parlava sempre di tosse convulsa) venissero portati dalle loro mamme  vicino alle “Cargare” per respirare i vapori caldi che fuoriuscivano dagli sfiati della volta in pietra.

La cottura durava 7 o 8 giorni sempre alimentata da fuoco continuo . All’ottavo giorno si festeggiava di nuovo magari anche con suoni di organetto e canti di stornelli e poi veniva lasciato tutto fermo per più di 20 giorni  permettendo il raffreddamento totale di tutta la pietra cotta.

 

Passato questo lasso di tempo le tantissime pietre , rese leggerissime bianchissime e friabili dalla cottura, venivano rimosse una ad una e caricate sulla “ barozza” e “su li bicunsi de li somari ” per essere portate fino al paese e finire di nuovo dentro un’altra buca generalmente posta vicino alla fontana del paese.

Mentre questa buca veniva riempita dalle tante pietre si iniziava a gettare in mezzo  acqua per spappolare le pietre “smorze” e produrre così ”la cargi viva” che reagiva e bolliva mentre veniva smossa con lunghe pertiche  di legno mentre aumentava di temperatura diventando molto pericolosa Gli adulti in questa fase ripetevano continuamente a noi bambini di stare lontani e dovevano curare particolarmente la completa reazione di tutta la calce altrimenti il suo utilizzo poi negli intonaci non era il migliore perché “scoppava” in quanto i piccoli granuli non diventati “cargi viva” dopo alcune ore dalla finitura dell’intonaco letteralmente esplodevano creando piccoli crateri su tutta la parete.

Per evitare ciò comunque i manovali impastavano la calce con un attrezzo chiamato la zappa e poi setacciavano la colla “co lu sodacciu da muratore” riuscendo così a triturare ben bene la calce smorzando e spappolando eventuali granuli ancora presenti.

A volte parte della calce veniva venduta direttamente sul posto e dove era stata fatta la Cargara restava solo la buca e qualche sasso non cotto a dovere.

Col passare del tempo il terreno nudo intorno alla buca iniziava inesorabilmente a sfaldarsi  riducendo le dimensioni della buca e riuniformando il terreno fino a far rinascere piante e serpi ricompattando “macchione e creppone”.

Ora i luoghi delle “Cargare” sono tutti ricompattati e solo minimi segni , visibili a chi ormai ha tanti anni, testimoniano ancora per poco la loro secolare ma ormai spenta continuità.

Anch’io sono andato a curarmi la tosse convulsa davanti a la “Cargara de nonnu Angilucciu”  .

Era una cura sicuramente meno forte delle pezze calle sul petto (“come scottavanu”) che allora ci mettevano ma sicuramente ho potuto godere di ore davanti alla fornacetta ove persone adulte sempre in allegria “mestieravano” con mestieri ormai da tanto tempo scomparsi

CE.NA

 

 

 

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