Ci voleva il passaporto per uscire dalla provincia
di Giuseppe Cultrera

Le donne leonessane non avevano diritto a documenti di identificazione; per spostarsi da una provincia all'altra del regno di Napoli ci voleva il passaporto, come per andare all'estero; pastori e braccianti erano assimilati alla categoria dei poveri. Ecco alcune curiosità del "Regolamento relativo alle Carte di Sicurezza, di Permanenza e di Passo, nonchè ai passaporti" approvato "da S.M. pe' suoi Reali Dominj al di qua del Faro" il 30 novembre 1821 e in vigore dal 1 marzo 1822.

Sua Maestà è Ferdinando I di Borbone (1751-1825), re delle Due Sicilie, figlio terzogenito di Carlo III re di Spagna e di Maria  Amalia di Sassonia. Era diventato re ad appena nove anni, nel 1759, coi titoli di Ferdinando IV re di Napoli e di Ferdinando III di Sicilia; nel 1816 aveva unificato i due regni, diventando Ferdinando I re delle Due Sicilie. Il testo è pubblicato dal Giornale dell'Intendenza della provincia dell'Aquila, di sabato 9 febbraio 1822, che si trova nell'Archivio Storico del Comune di Leonessa il cui territorio, fino al 1860, apparteneva al regno delle Due Sicilie.

Il regolamento, controfirmato da Raffaele de Giorgio, direttore della Real Segreteria di Stato di Grazia e Giustizia, contiene 18 articoli e dimostra come fosse stretto il controllo sui movimenti dei cittadini. La Carta di sicurezza (cioè l'odierna carta di identità) è obbligatoria per "ogni individuo di qualunque classe e condizione", tranne "le donne di ogni età" (segno della sudditanza agli uomini della famiglia) e i giovani con meno di 15 anni. Il documento era rilasciato dal sindaco e vidimato dal Giudice Regio, se questi risiedeva nel comune; era valida un anno "e con essa, senza bisogno di altro documento, potrà girarsi entro la propria Proincia". Se però una persona (anzi "un individuo") voleva trattenersi più di otto giorni fuori del proprio circondario, nel caso di Leonessa quello di Cittaducale, gli serviva la Carta di permanenza, anch'essa rilasciata dal Sindaco. Ciascuna carta costava due grani (monete napoletane, pari a otto centesimi di lira); era gratuita e valida un anno per i "bracciali (cioè i braccianti), i pastori e generalmente tutti coloro che sono notoriamente poveri".

 

Per andare in un'altra provincia del Regno, serviva un passaporto, spedito dall'Intendente (funzionario più alto in grado) della provincia di provenienza; in caso di urgenza provvedeva il Sindaco. Anche qui un'eccezione per i braccianti  e i pastori; questi se "per motivi d'arte e d'industria si recano nelle Provincie limirofe, non han bisogno di passaporto", ma della "carta di passo" emessa dal sindaco, gratuita e valida un anno. Questo stesso documento è sufficiente per possidenti e commercianti che "abbian bisogno notoriamente di una comunicazione nelle Comuni della Provincia limitrofa". Più complessa è la procedura dei passaporti per l'estero, rilasciati soltanto dagli Intendenti e dopo autorizzazione della Commissione generale di Polizia; sul documento, oltre ai connotati del apersona, sono indicati il perchè del viaggio e la durata dell'assenza. Fanno eccezione, al solito, i braccianti e i pastori di Terra di Lavoro e degli Abruzzi, per i quali basta la "carta di passo".

Chi non possiede documenti, rischia una pena da uno a due giorni di carcere o la multa da uno a sei ducati. I privati, gli albergatori, i locandieri ed i conventi non possono alloggiare chi non ha documenti e dovranno segnalare alla polizia locale "le persone che vogliono pernottare". Le contravvenzioni sono pesanti: otto giorni di arresto o 25 ducati di multa per i privati; 16 giorni  di arresto o 50 ducati di multa per albergatori, locandieri, affittacamere e capi dei conventi. Le pene sono raddoppiate a Napoli.

I funzionari locali di polizia "con documentato processo verbale", applicheranno "le determinazioni e le multe" previste dal regolamento. A tutela dei cittadini, l'art. 16 afferma che "Ogni vessazione, ogni abuso, ogni frode sarà rigorosamente punita", o con provvedimenti interni della Commissione generale di Polizia o per i casi più gravi, con "traduzione de' colpevoli dinanzi a Tribunali".