"Qui vi sono uomini che hanno lottato per la
libertà dagli anni '20 al 25 aprile 1945. Nel
solco tracciato con il sacrificio della loro
vita da Giacomo Matteotti, da don Minzoni, da
Giovanni Amendola, dai fratelli Rosselli, da
Piero Gobetti e da Antonio Gramsci, sorge e si
sviluppa la Resistenza. Il fuoco che divamperà
nella fiammata del 25 aprile 1945 era stato per
lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle
carceri, nelle isole di deportazione, in esilio.
Alla nostra mente e con un fremito di commozione
e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti
già membri di questo ramo del Parlamento uccisi
sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo
Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in
carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci,
mio indimenticabile compagno di prigionia;
spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio
Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli
caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi
crudelmente ucciso alla Storta.
I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di
questo lungo e tormentato cammino, pietre
miliari che sorgeranno più numerose durante la
Resistenza, recando mille e mille nomi di
patrioti e di partigiani caduti nella guerra di
Liberazione o stroncati dalle torture e da una
morte orrenda nei campi di terminio
nazisti.Recano i nomi, queste pietre miliari, di
reparti delle forze armate, ufficiali e soldati
che vollero restare fedeli soltanto al
giuramento di fedeltà alla patria invasa dai
tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni
''Ariete'' e ''Piave'' che si batterono qui nel
Lazio per contrastare l'avanzata delle unità
corrazzate tedesche; i granatieri del battagione
''Sassari'' che valorosamente insieme con il
popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a
porta San Paolo; la divisione ''Acqui'' che
fieramente sostenne una lotta senza speranza a
Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle
divisioni ''Murge'', ''Macerata'' e ''Zara'' che
danno vita alla brigata partigiana ''Mameli''; i
reparti militari che con i partigiani di Boves
fecero della Bisalta una roccaforte
inespugnabile.Giustamente, dunque, qundo si
ricorda la Resistenza si parla di Secondo
Risorgimento.
Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento
protagoniste sono minoranze della piccola e
media borghesia, anche se figli del popolo
partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e
di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento
protagonista è il popolo. Cioé guerra popolare
fu la guerra di Liberazione. Vi parteciparono in
massa operai e contadini, gli appartenenti alla
classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva
visto i figli suoi migliori fieramente
affrontare le condanne del tribunale speciale al
grido della loro fede. Non dimentichiamo,
onorevoli colleghi, che su 5.619 processi
svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644
furno celebrati contro operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi
sotto il fascismo e poi durante l'occupazione
nazista, scioperi politici, non per
rivendicazioni salariali, ma per combattere la
dittatura e lo straniero e centinaia di questi
scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di
sterminio in Germania. ove molti di essi
troveranno una morte atroce.Saranno i contadini
del Piemonte, di Romagna e dell'Emilia a
battersi e ad assistere le formazioni
partigiane. Senza questa assistenza offerta
generosamente dai contadini, la guerra di
Liberazione sarebbe stata molot più dura.
La più nobile espressione di questa lotta e di
questa generosità della classe contadina è la
famiglia Cervi. E saranno sempre i figli del
popolo a dar vita alle gloriose formazioni
partigiane.Onorevoli colleghi, senza questa
tenace lotta della classe lavoratrice - lotta
che inizia dagli anni '20 e termina il 25 aprile
1945 - non sarebbe stata possibile la
Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria
sarebbe stata maggiormente umiliata dai
vincitori e non avremmo avuto la Carta
costituzionale e la Repubblica.Protagonista è la
classe lavoratrice che con la sua generosa
partecipazione dà un contenuto popolare alla
guerra di Liberazione.Ed essa diviene, così, non
per concessione altrui, ma per sua virtù
soggetto della storia del nostro paese. Questo
posto se l'è duramente conquistato e non intende
esserne spodestata.
Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo
abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui
per porre in risalto come il popolo italiano
sappia battersi quando è consapevole di pattersi
per una causa sua e giusta; non inferiore a
nessun altro popolo.Siamo qui per riaffermare la
vitalità attuale e perenne degli ideali che
animarono la nostra lotta.
Questi ideali sono la libertà e la giustizia
sociale, che - a mio avviso - costituirono un
binomio inscindibile, l'un termine presuppone
l'altro; non può esservi vera libertà senza
giustizia sociale e non si avrà mai vera
giustizia sociale senza libertà.E sta
precisamente al Parlamento adoperarsi senza
tregua perché soddisfatta sia la sete di
giustizia sociale della classe lavoratrice. La
libertà solo così riposerà su una base solida,
la sua base naturale, e diverrà una conquista
duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo
alto valore, e considerata un bene prezioso
inalienabile dal popolo lavoratore italiano.
I compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno
lasciato non solo l'esempio della loro fedeltà a
questi ideali, ma anche l'insegnamento di un
nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente
hanno sacrificato la loro giovinezza senza
badare alla propria persona.(...) Non
permetteremo mai che il popolo italiano sia
ricacciato indietro, anche perché non vogliamo
che le nuove generazioni debbano conoscere la
nostra amara esperienza. Per le nuove
generazioni, per il loro domani, che è il domani
della patria, noi anziani ci stiamo battendo da
più di cinquant'anni.
Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani
diventino e restino sempre uomini liberi, pronti
a difendere la libertà e quindi la loro dignità.
Nei giovani noi abbiamo fiducia"
(Sandro Pertini, Camera dei Deputati, 23 aprile
1970)
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