Da sempre, nelle campagne, l'immagine di Sant'Antonio Abate è presente nei luoghi dove vivono e riposano gli animali domestici. A volte, a far bella mostra sul retro dell'ingresso della stalla, è una formella in ceramica finemente dipinta, il più delle volte, un santino lordo e spiegazzato di nessun valore artistico.
Qualunque sia la forma, la sostanza non cambia. Il famoso abate egiziano è sempre lì, con le vesti da eremita, la lunga barba bianca, il bastone a Tau, il porcellino e una vivida fiamma ai piedi.
In questa ricorrenza è usanza benedire gli animali domestici sui sagrati per preservarli dalle malattie e rinnovare le immagini del Santo nelle stalle a scopo propiziatorio.

Per la festa del loro protettore, poi, le bestie venivano trattate amorevolmente, ben nutrite, esentate dal lavoro e, ovviamente, non potevano essere macellate. Si dice infatti che, in questa magica notte, gli animali acquistino la parola.
In Romagna, era altresì tradizione dare agli animali ammalati un pezzetto di pane benedetto il giorno di sant'Antonio, affinché guarissero, oppure tre fave nere.

Si narra che i seguaci del Santo, per meglio soccorrere i malati che si recavano ormai senza speranza alla chiesa francese di Saint-Antoine de Viennois, luogo dov’erano conservate le reliquie, decisero di costruire un ospedale e dei ricoveri. Ebbe così origine l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani. Per assicurare la sussistenza ai malati e ai religiosi, si narra che venissero allevati dei maiali destinati alla macellazione, lasciati liberi di vagabondare per il paese e mantenuti dalla carità pubblica. Necessità sopraggiunte vietarono la libera circolazione degli animali nella città, fatta eccezione per i maiali degli Antoniani che, da allora, dovettero portare come riconoscimento la celebre campanellina al collo.

A Roma, nei secoli scorsi, la cerimonia si svolgeva invece con grande sfarzo: gli animali da benedire erano numerosissimi e andavano dai buoi agli asini, dagli animali da cortile fino ai cavalli delle carrozze dei nobili. La benedizione, poi, aveva luogo in origine nella vicina chiesa di Sant'Antonio Abate, il santo protettore degli animali, e solo quest'ultimo secolo è stata dirottata, per motivi di traffico, a Sant'Eusebio.

La cerimonia, di grande attrazione per gli stranieri, si ripeteva spesso per diversi giorni e cominciava fin dalle prime ore del mattino del 17 con la sfilata di tutti i quadrupedi, tra due ali di folla, fino alla chiesa. Qui un sacerdote, munito di un grande aspersorio, spruzzava energicamente le bestie impartendo loro la benedizione. Fra le testimonianze scritte giunteci dell'avvenimento ci sono anche quelle di Goethe e di Andersen, mentre la scena è stata immortalata in una litografia di A.J.B. Thomas del 1823, in un acquerello di Bartolomeo Pinelli del 1831 e in un quadro del danese Wilhelm Mastrand del 1838.

 

 

 

(Wilhelm Mastrand - Benedizione degli Animali - 1838)

 


Naturalmente la benedizione richiedeva un'offerta da parte dei proprietari delle bestie alla chiesa di Sant'Antonio; essa andava da quelle in natura dei contadini a quelle cospicue in denaro dei nobili.

Con una punta di ironia Goethe nel 1787 ricordava una nota dolente della festa: i cocchieri devoti portano ceri grandi e piccoli, "i padroni mandano elemosine e doni, con i quali i preziosi ed utili animali sono garantiti da ogni disgrazia". Il Belli non si lasciava sfuggire quest'ottima occasione per lanciare l'ennesima sferzata contro la chiesa, personificata in questo caso da "cuer pezzo de demonio de don Pangrazzio", che se aveva un gran daffare con il suo aspersorio, ancor più era impegnato a raccogliere le offerte.

Il giro di interessi economici legato alla cerimonia divenne così rilevante da indurre i parroci di altre chiese a tentare di "farlo proprio", approfittando del fatto che alcuni nobili, elargendo lauti compensi, chiedevano funzioni riservate ai propri animali.

Ciò portò ad una concorrenza tra Sant'Antonio Abate e altre chiese romane per l'esclusiva sulla benedizione degli animali, tanto che nel 1831 il cardinale vicario dovette intervenire minacciando la sospensione a divinis per chi avesse compiuto il rito al di fuori della chiesa di Sant'Antonio.

 (Servizio Fotografico: Elena Rauco)

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