(Circolo Culturale "Il
Cardo" - "Mo Revengo", piece teatrale in memoria
delle vittime della strage di Leonessa- Natale
2004)
19 Gennaio 2015 Ore
10:26
"Noto che non ha potuto
pubblicare un articolo di Mario Polia sull'opera
di Tonino Zelli pubblicata su Leonessa ed il suo
Santo. Invece in evidenza pubblica un
articolo del presidente comitato pro 70
Anniversario della RSI in Provincia di Rieti che
vuole riscrivere la storia.
Come se i nazifascisti
siano state delle mammole, mentre i partigiani
comunisti erano brutti e cattivi.
Buona giornata e
restiamo umani."
Raffaele Pirisi
Egregio signor Pirisi,
Il sottoscritto, mi
creda, è assolutamente, politicamente schierato.
Da sempre.
Ma, al netto dei miei
convincimenti ideologici, reputo assurdo che
dopo settant'anni non esista ancora una sola
verità condivisa da tutti. Soprattutto nei
confronti di chi ha pagato con la vita le sue
idee (non dovrebbe mai succedere) o, e la
cosa per me è ancora più terribile, ha pagato
con la vita una delazione o semplicemente
il fatto di trovarsi al posto sbagliato nel
momento sbagliato.
Da queste latitudini,
"giochiamo"a fare del giornalismo vero : pubblichiamo
la notizia e citiamo la fonte.
La ricostruzione dei
fatti nell'intervista rilasciata dal dottor
Pietro Cappellari, storico della Fondazione
Repubblica Sociale Italiana, ha molti punti in
comune con quella del signor Giuseppe Chiaretti.
Non vorrei sbagliarmi (
e chiedo scusa fin d'ora al "vero" estensore
dell'articolo) ma Giuseppe Chiaretti potrebbe
essere Monsignor Giuseppe Chiaretti, già parroco
di Pianezza e di Ocre, Vescovo di Perugia e Vice
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Un indagine storica
politicamente marcata la prima, una (sempre sia
giusta la mia ipotesi) preziosa
testimonianza di un grande uomo di Chiesa la
seconda.
Di valore assoluto
anche se l'estensore non fosse Monsignor
Chiaretti.
Due mondi assolutamente
lontani.
Non ho nessun tipo di
prurito revisionista, assolutamente convinto
delle mie idee.
Comunque la si
possa pensare sono
contributi significativi, corretti
nell'esposizione e, soprattutto, lo ribadisco, firmati.
Don Concezio Chiaretti
è un martire, barbaramente giustiziato il 7
Aprile 1944.
Per quanto riguarda
l'apertura della sua e-mail
"Noto che non ha potuto
pubblicare un articolo di Mario Polia sull'opera
di Tonino Zelli pubblicata su Leonessa ed il suo
Santo..."
Cosa avrebbe impedito
tale pubblicazione ?
Anche secondo Lei, da
prezzolatissimo organo di regime quale è da
sempre leonessa.org , censuro le informazioni
riguardanti persone non gradite, seguendo
le direttive della sezione locale del Min.
Cul. Pop. ?
In effetti un
impedimento c'è : non ho ancora ricevuto
"Leonessa ed il Suo Santo".
Ha perfettamente
ragione, Signor Pirisi.
Restiamo umani.
Grazie di cuore per l'attenzione.
Continui a seguirci.
giannibolletta@leonessa.org
Abbiamo ricevuto
e volentieri pubblichiamo un'altra nota sulla
vita ed il sacrificio di don Concezio Chiaretti.
Aggiungiamo, per
dovere di informazione, la versione ufficiale
dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
Don Concezio
Chiaretti è uno dei Martiri di Leonessa.
Unica, tragica
verità.
La Redazione di
www.leonessa.org
Parroco di Leonessa
(Rieti), fucilato a
Monte Tilia (Rieti) il 7
aprile 1944.
Era
stato cappellano del 39°
Battaglione Alpini e, dopo
l'8 settembre 1943, aveva
preso parte alla Guerra di
liberazione nelle file della
resistenza. A Leonessa
presiedeva il locale CLN ed
era partigiano nella Brigata
Garibaldi "Gramsci". Fu
catturato nel corso del
rastrellamento che i
nazifascisti effettuarono
nella zona dal 1° al 7
aprile '44. La caccia ai
patrioti si concluse con
quella che viene ricordata
come la strage di Leonessa.
A guidare i soldati tedeschi
nella ricerca, casa per
casa, delle persone da
eliminare fu una donna,
Rosina Cesaretti, una
fanatica fascista, che non
si fermò nemmeno davanti a
un suo fratello, mutilato,
che fu eliminato. La stessa
sorte sarebbe toccata alla
cognata, incinta, che si
salvò per l'intervento di un
ufficiale delle SS,
disgustato dalla ferocia
della Cesaretti. Don
Concezio fu fucilato con
altri 22 patrioti sullo
sperone del Monte Tilia.
Oltre cinquanta furono le
vittime della strage, i cui
nomi, dopo la Liberazione,
sono stati incisi su un
cippo eretto a ricordo. Il 4
novembre 1996, a Leonessa, è
stato inaugurato un busto
bronzeo del sacerdote
partigiano.
(Fonte
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia -
www.anpi.it)
"Ripenso
all’urlo di sua madre, la "Marona", entrata
nella chiesa di Santa Maria dove don Concezio
stava facendo – in quel Venerdì santo 1944 – la
tradizionale coroncina in onore dell’Addolorata
nell’altare ad essa dedicato: «Fiju, scappa! Te
vau cerchénno li tedeschi!» («Scappa, figlio, i
tedeschi ti stanno cercando!»). Io, chierichetto
di 11 anni, c’ero e ricordo tutto di quei
giorni: la strage di civili perpetrata a
Leonessa (Rieti) 13 giorni dopo quella delle
Fosse Ardeatine, 23 uccisi tutti insieme il 7
aprile 1944, alle ore 15.
Non sono
più molti, ormai, quelli che ricordano l’eccidio
e le urla di dolore di quel venerdì santo; io
quel giorno c’ero, e non posso dimenticare. E
non nascondo che, andando a Leonessa, vado ogni
volta al cimitero dove i martiri sono sepolti, a
salutarli tutti, uno per uno, rileggendo ora
l’una ora l’altra lapide, come quella d’una
moglie e mamma con i suoi piccoli figli che
scrive a ricordo del marito e padre: «Sono qui
pietosamente composti i resti (di Ivano Palla)
nella calma della morte, dopo l’orribile strazio
dell’insensata tragedia del venerdì santo,
ricordando di quanto dolore e lutto siano
artefici l’uomo e il popolo che non temono
Dio».
Dopo
l’urlo di sua madre, mio cugino don Concezio
Chiaretti si fermò un po’, concluse la
preghiera, e uscì dalla chiesa senza alcuna
precauzione. I "tedeschi" (che comunque
parlavano bene l’italiano, come disse al
processo un testimone: «Ma che tedeschi! Erano
militi e ufficiali italiani!»…) lo catturarono
subito e lo portarono con gli altri in piazza,
dove si mise a pregare il breviario (lo stesso
che poi si sporcherà di terra dopo l’esecuzione
capitale). Perché i nazifascisti cercavano
proprio lui? Il nome, la qualità e la fama di
quel prete di 27 anni, cappellano militare della
Julia, che se la intendeva con i giovani
renitenti alla leva, disertori e "partigiani",
non potevano essere sconosciuti alle autorità
del tempo, tanto più che i fascisti conoscevano
già l’attività di un altro Chiaretti di
Leonessa: Antonio, che a Roma organizzava la
forte cellula comunista Bandiera Rossa,
responsabile di vari sabotaggi .
Eppure don
Concezio non aveva aiutato solo i partigiani
(aveva fondato il Cnl locale), ma anche i
fascisti. Una dichiarazione del 26 febbraio
1944, firmata da tre militi leonessani della
Guardia Nazionale Repubblicana che indico solo
con le iniziali (A.R., S.G., Z.V.), dal loro
comandante (R.P.), da un elettricista testimone
(A.L) e controfirmata da don Concezio Chiaretti,
testimonia che i tre fascisti nei pressi di
Villa Pulcini furono salvati dalla fucilazione
da parte di un grosso manipolo (una quindicina)
di partigiani che li avevano già svestiti,
proprio per la mediazione di don Concezio, che
quel giorno si trovava lì a cercare qualcosa da
mangiare per suo fratello malato. Dopo l’8
settembre, infatti, il sacerdote si era dedicato
alle opere d’assistenza: si ricordano suoi
interessamenti per aiutare una famiglia ebrea
che viveva a Leonessa e le visite nel carcere
comunale ai giovani militari fuggiti in montagna
per non essere trasferiti ai lavori forzati in
Germania.
Figlio di
emigrati (era nato in Canada nel 1917), tornato
in Italia don Concezio aveva frequentato le
scuole degli Scolopi e poi il seminario ad
Assisi; a quell’epoca s’avvolgeva nel tricolore
e cantava con la sua bella voce baritonale
l’inno di Vincenzo Bellini ne I Puritani: «Suoni
la tromba! Intrepido/ io pugnerò da forte! Bello
è affrontare la morte/ gridando "Libertà"!». Fu
ordinato prete il 13 luglio 1941 a Leonessa,
divenne vicerettore e insegnante nel seminario
vescovile di Rieti, quindi cappellano militare
degli alpini. Tornato in famiglia per malattia,
dovette sostituire per la settimana santa i due
parroci di Leonessa arrestati come "badogliani"
e trasferiti a Rieti per essere processati
(riuscirà a salvarli il vescovo Migliorini, ma
usciranno dal carcere solo dopo la strage del
venerdì santo).
Torniamo
ai 23 cittadini di Leonessa radunati in piazza,
scelti perché "comunisti" secondo le direttive
di una malafemmina che indicava le persone da
uccidere per i motivi più vari: chi non aveva
sorriso alla sua attività di attricetta da
quattro soldi, chi non le aveva dato generi
alimentari che lei pretendeva gratis, e così
via. «Sembrava invasa da una furia d’inferno»,
dicono i testimoni; quando seppe della cattura
dei due parroci, disse: «Bene! Due preti li
hanno loro (i tedeschi), uno noi: sono tutti e
tre!»: la donna infatti non perdonava ai tre
sacerdoti i rimbrotti per il suo malcostume. Il
giorno prima aveva fatto lo stesso nel suo
minuscolo paese, Cumulata, dove fece trucidare
tutti gli 11 uomini (si salvò solo un ragazzo
che si buttò in una concimaia), uccidendo essa
stessa il fratello e chiedendo anche l’uccisione
della cognata: i tedeschi rifiutarono perché era
incinta.
Il gruppo
dei condannati leonessani fu dunque condotto ai
piedi di un rialzo, mentre la gente andava
radunandosi urlando, tenuta a bada dalle
mitragliatrici. Don Concezio assolse e benedisse
i morituri e la sua città; morì perdonando i
suoi assassini, i quali senz’altro sapevano di
religione come dimostra la scelta del tempo (il
venerdì santo alle 15) e il luogo (un’altura
fuori le mura di Leonessa, come il Calvario). I
cadaveri furono poi portati su scale a pioli
usate come barelle nella grande chiesa di San
Francesco, ove già tutto era stato predisposto
per la tradizionale processione del "Cristo
morto"; la chiesa si riempì di sangue. Fu un
altro Golgota con un Cristo in carne ed ossa, e
lacrime e gemiti in quantità. Il giorno di
Pasqua le campane non suonarono a festa per la
risurrezione di Cristo, ma a lutto per i
funerali. Si fecero una ventina di viaggi al
cimitero per seppellire i morti.
A Leonessa
in quell’aprile le vittime furono
complessivamente 54. Di fatto la spedizione
fascista-tedesca della Settimana santa ebbe
anche l’intenzione di dare una lezione alla
città, ormai nota come covo di ribelli. Posso
dirlo pure per motivi familiari; in quei giorni
era tornato a casa, dopo la sconfitta italiana
in Libia, lo zio Francesco, autista e
camionista, che fu ricercato da un ufficiale
tedesco (altoatesino) per riparare un loro
autocarro che si era guastato. Lo zio andò nella
rimessa "di Rizziero" nei pressi di Porta
Spoletina e fu esortato dall’ufficiale a non
uscire e a non farsi vedere in giro perché quel
giorno sarebbero avvenute cose «terribili» a
Leonessa. E in effetti fu così."
( Giuseppe
Chiaretti , 9 dicembre 2014 - Su gentile
concessione de “l’Avvenire” )
Don Chiaretti:
l’equivoco del prete partigiano di Leonessa e
dei caduti fascisti sulla lapide della “Gramsci”
“Se si analizza tutto
quello che avvenne a Leonessa tra il Settembre
1943 e l’Aprile 1944, se si osservano senza
faziosità i comportanti di Don Concezio, le
conclusioni sono del tutto in contraddizione con
quanto sostiene la vulgata antifascista e
anti-italiana da oltre mezzo secolo”. Così
il ricercatore storico Pietro Cappellari
commenta la vicenda di don Concezio Chiaretti,
sacerdote di Leonessa (RI) che da oltre
settant’anni è ricordato come caduto della
resistenza umbro-laziale. Forse un equivoco, al
quale tuttavia se ne aggiunge un altro, ben più
eclatante: quello di noti fascisti leonessani,
come Ugo Tavani maggiore della GNR, i cui nomi
sono scolpiti sulla lapide dei caduti della
Brigata garibaldina “Antonio Gramsci”, sulla
facciata di Palazzo Farini a Terni.
Dottor Cappellari
cosa non la convince della definizione di Don
Concezio Chiaretti “partigiano combattente”?
“Essenzialmente la
mancanza di chiarezza nelle varie testimonianze
– emblematicamente tutte di fonte partigiana –
sull’effettiva militanza nella Resistenza di
questo giovane Sacerdote. Analizzando queste
“memorie” si entra in un ginepraio di
contraddizioni dal quale è impossibile uscire,
almeno che non si usino i documenti e la logica,
oltre che la serenità che sempre è mancata ha
chi ha voluto speculare sui morti. Ebbene, se si
esaminano i documenti a nostra disposizione, se
si analizza tutto quello che avvenne a Leonessa
tra il Settembre 1943 e l’Aprile 1944, se si
osservano senza faziosità i comportanti di Don
Concezio, le conclusioni sono del tutto in
contraddizione con quanto sostiene la vulgata
antifascista e anti-italiana da oltre mezzo
secolo”.
Don Concezio prete
e partigiano: il suo nome non compare inciso
anche sulla lapide della “Gramsci”?
“Ovviamente. Ma la
lapide commemorativa i caduti della Brigata
“Gramsci” di Terni non è un documento storico,
ma un manufatto di propaganda politica. La
maggior parte dei cosiddetti “caduti
partigiani”, mai lo erano stati e – addirittura
– si è arrivati ad inserire tra i caduti i nomi
di coloro che, sebbene fascisti, caddero
fucilati dai tedeschi nei giorni delle terribili
stragi di Leonessa. Un modo di procedere tipico
di chi ha il solo interesse di sfruttare i morti
per fini politici. E in questo contesto la
figura di un Sacerdote “partigiano combattente”
non poteva mancare. Era una sorta di
legittimazione della stessa “Resistenza di
popolo”. Si metteva in sordina la violenza
partigiana, si cancellava l’ideologia comunista
di stampo stalinista propria dei ribelli, e si
inseriva un personaggio rassicurante. Un gioco
che fece comodo a tutti. Fece comodo al PCI per
“stemperare” la realtà di una scomoda guerriglia
ideologica di partito; e alla DC, ai cattolici,
che sebbene in larga parte estranei alla
Resistenza, trovarono così un posto” al “tavolo”
della Storia, facendo dimenticare così il loro
attivo sostegno al Regime fascista espresso
anche da figure di primo piano come Giuseppe
Dossetti ed Aldo Moro – solo per fare dei nomi –
che si stavano presentando nell’Italia del
dopoguerra in tutt’altre vesti”.
Sacerdote, nipote
del vescovo di Perugia, cappellano militare:
cosa ci fa un uomo di Chiesa tra i
“garibaldini”?
“Ecco, basterebbe
porsi questa domanda per cominciare a parlare
seriamente di storia. Ma mai nessuno ha
obiettato nulla su quanto, nei primi anni del
dopoguerra, sostenevano i vari Comandanti
partigiani (spesso contraddicendosi a vicenda,
sia detto!). Nessuno ha mai parlato chiaramente
di cosa don Concezio facesse tra i ribelli: chi
lo ignora del tutto; chi lo dipinge come
informatore; chi come cappellano di brigata (di
una formazione comunista?); chi membro di un
fantomatico CLN di Leonessa (per conto della DC,
partito costituito in paese solo nell’Autunno
1944!).
Pensare a confessioni,
Sante Messe, apostolato presso partigiani
comunisti come quelli ternanti e slavi,
connotati da un forte estremismo ideologico,
appare alquanto maldestro (e, infatti, nessuno
ne parla). Ma, allora, quale era il ruolo di
questo giovane Sacerdote? Ovviamente, non
imbracciò mai un arma e, quindi, anche il ruolo
“combattente” viene meno. Allora fu
organizzatore? Un informatore? Di cosa?
Ecco che allora la
figura di Don Concezio si delinea più
chiaramente. Pochi ricordano la vera attività
del Sacerdote durante la RSI, un’attività
documentabile e non certo ricostruita attraverso
“memoriali politici” dai fini ben evidenti. Come
spiegare l’assistenza che prestò
disinteressatamente a tutti? Anche ai fascisti!
Così come riuscì a far liberare tre Militi della
GNR sequestrati a Leonessa, fornendo poi tutti i
dettagli del caso al locale Distaccamento della
Guardia Nazionale Repubblicana. Fu il primo a
correre a pregare sul corpo del Commissario del
Capo della Provincia in Leonessa Francesco
Pietramico ucciso senza pietà dai ribelli. Si
distinse durante i suoi funerali tanto da
ricevere un attestato di stima da parte delle
Autorità della RSI. Ma non solo! Cercò di
impedire che i partigiani occupassero il paese
e, poi, fallita questa intenzione collaborò con
loro perché non commettessero violenze (salvando
la vita a un Milite sorpreso a scattare
fotografie ai ribelli e riuscendo a far liberare
sette leonessani di simpatie fasciste portati a
Cascia per un giudizio sommario). Insomma, ben
strano comportamento per un partigiano. Non
pare?
Tra i caduti
partigiani di Leonessa figurerebbero anche due
iscritti al PFR. E’ vero?
“Ma certamente. Non
solo due, però! Le stragi germaniche furono
indiscriminate, colpirono cioè principalmente
dei disgraziati che furono denunciati da una
compaesana per mera vendetta personale e niente
affatto politica. Nessuno venne fucilato per una
specifica attività antifascista, ma solo perché
indicato – falsamente – come “comunista” dalla
sciagurata di turno. E nel mucchio finirono
certamente anche giovani partigiani – che
avevano da tempo deposto le armi e non avevano
mai fatto nulla per la guerriglia –, ma anche
fascisti repubblicani, ex-fascisti, addirittura
squadristi di Leonessa, tutti poi reclutati post
mortem nella Brigata “Gramsci” .
Quindi la vicenda
di Don Concezio potrebbe essere vittima di un
equivoco storico?
“Parlare di “equivoco”
non rende bene l’idea di cosa sia avvenuto in
questi decenni per colpa di improvvisati storici
e giornalisti, senza voler scomodare dalle loro
“dorate cattedre” i “cattivi maestri”, la cui
malafede è addirittura superiore alla loro
tracotanza e supponenza. La condanna morale, in
questi casi, viene prima di una giusta revisione
storica”.
Cosa domanderebbe
a chi parla di Don Concezio come un “partigiano
combattente”?
“Semplicemente di
documentare quello che si afferma. Se Don
Concezio fosse stato veramente un partigiano,
per noi non cambierebbe nulla, si avrebbe solo
un tassello di chiarezza in più per comprendere
la Resistenza in tutti i suoi aspetti e
analizzare con maggiori documenti la storia
della Repubblica Sociale Italiana. Ma se tutto
quanto è stato affermato fino ad ora è stato il
frutto di “avventatezza” e speculazione, allora
molte candide carriere accademiche dovrebbero
essere messe in discussione.
Noi amiamo lo studio
della storia, non facciamo manipolazione
politica. Per questo consideriamo ogni
contributo – da qualsiasi parte provenga – che
ci permetta di approfondire la conoscenza della
storia della nostra Patria degno di interesse,
in quanto alimenta la nostra passione e ci aiuta
a ricostruire con maggiore precisione la nostra
visione del passato. Pretendiamo, però, che il
contributo sia coerente con le fonti storiche,
con la realtà storica, con la logicità di una
ricostruzione storica. Ecco, questo in Italia
non è ancora possibile. Il romanzo sconfina
troppo spesso nella commedia…”.
(Dott. Pietro Cappellari - intervista di Marco
Petrelli - Su gentile concessione
meridianamagazine.org) |