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Un tempo il Carnevale, sull'altopiano, coincideva con un periodo di generale euforia in cui si celebravano feste da ballo e comitive di ragazzi mascherati percorrevano le vie dei borghi. Il Carnevale era vissuto come un periodo liberatorio della lunga e severa Quaresima. Le notizie qui esposte provengono da Albaneto. L'inizio di Carnevale coincideva col giorno della festa di S. Antonio Abate me il culmine dei festeggiamenti si raggiungeva nell'ultimo periodo ossia giovedi grasso, domenica e martedi grasso. Il venerdi che seguiva il giovedì grasso era detto "venerdi caciajolu" perche, in quel giorno, era tradizione nutrirsi di formaggio. Seguiva il "sabbatu de li zengari (zingari)" e la "domenica de carnevale". Oltre
a fornire
il pretesto per riunioni spensierate, quei giorni erano importanti perchè favorivano
la socializzazione e perchè, in occasioni delle numerose feste da ballo famigliari, i giovani si conoscevano e nascevano
idilli che preludevano quasi sempre al matrimonio. Il clero, tuttavia, non vedeva di
buon occhio il Carnevale e, soprattutto, le danze che accompagnavano i 'festini": si
racconta di parroci
che, seguendo le note dell'organetto e le risa, irrompevano furibondi fra le
coppie danzanti minacciando anatemi e fulmini dal cielo, emuli di S. Giuseppe
da Leonessa Le maschere indossate dai ragazzi erano soprattutto quella popolarissima di Pulcinella (Leonessa apparteneva al Regno di Napoli) accompagnata dalle maschere degli "Sposi", da quella del "Romito", del "Diavolo" e dei "Vecchi" con la gobba riempita di paglia o segatura. Le allegre brigate scorrazzavano per i villaggi danzando, cantando e recando panieri per raccogliere qualche dono mangereccio, come si faceva in occasione della "Pasquarella". 11 giorno di martedi grasso, prima della funzione serale riparatrice, le maschere portavano in giro un fantoccio confezionato con vecchi abiti maschili ripieni di paglia che rappresentava il "Carnevale". Dietro di lui si lamentava e piangeva una "Vecchia", secondo la nostra informatrice immagine dell' imminente Quaresima che accompagnava il Carnevale morente ma, in realta', eloquente espressione della fugace spensieratezza di tutto un popolo rustico costretto a tornare, dopo una parentesi di allegria, al duro lavoro di tutti i giorni, alla consueta poverta' ed alla mestizia della Quaresima durante la quale la vita diveniva ancor piu' povera e ancor piu' austera. Sul sagrato della chiesa il "Carnevale" veniva posto su un rogo di fascine ed arso. Dopo la funzione, si beveva e si ballava per 1'ultima volta. Una vecchia strofa recita:
"Carnevale se lla coje (se ne va) chi ha fattu li festini se li piagne, non se toccano piu'c mani de
donne" ossia: finiti i balli carnevaleschi -occasione piu' unica che rara durante la quale 1' etica sociale permetteva che si prendesse per mano una donna che non fosse legata da vincoli di fidanzamento o di matrimonio- inizia la Quaresima durante la quale e proibito contrarre fidanzamenti. Vie anche da ricordare che, anticamente, il fidanzamento in varie regioni dell'Italia centrale era suggellato toccando la mano della donna, come avveniva nelle Marche col "toccamano" (BALENA 1986: 19), usanza che deriva dall'antico rito matrimoniale romano della dextrarum iunctio. Nelle Marche si cantava:
"Finitu Carnoa ', finitu amore / e finiti a magna' li maccheroni" (SPADONI 1966: 23).
Una delle valenze tradizionali del Carnevale, era appunto la "came" intesa, oltre che cibo, anche come sesso: nella Francia del `700 e dimostrato un notevole incremento dei concepimenti durante il Carnevale (BURKE 1980: 182). Anche a Leonessa, dunque, in occasione dei "festini" e danze carnevalesche, "se facevenu tanti fidanzamenti". Per questo una strofa popolare dice
"Ecco che carnevale s'e nn' e jitu e tutti sconturbati c 'ha lasciatu, chi senza moje e chi senza maritu"
Passato il Carnevale, pero', occorreva sanare i debiti contratti per far festa, come ricorda questa strofa:
"Carnevale ghiuttu ghiuttu s 'ha `mpegnatu lu prisuttu (prosciutto) e la moje pe' dispettu se
`mpegno lu scallalettu" cui fa eco un vecchio canto abruzzese:
"Carnevale vicine e lu foche / se lagnava a puoche a puoche, / la moglie pe ' dispiette / s 'ha vennute lu scallaliette, / e isse pe' delore / s 'ha vennute lu callardne" (DE NINO 1988 II: 123), calderone, peraltro, inutile nella severa Quaresima.
La domenica precedente quella di Carnevale era detta "domenica de li parenti" perche in quel giorno si usava recarsi
in visita ai parenti portando "frittelli" dolci di pasta lievita fritta hello strutto. La domenica precedente quella "de li parenti" era detta "domenica
de li compari" perche
i compari si recavano a far visita ai rispettivi compari e figliocci. In una societa' esposta al perenne rischio della precarieta' e ad una poverta' endemica, il comparatico rappresentava ben piu' di
una vecchia consuetudine: forniva la sicurezza
che la prole, in caso di morte dei genitori, non sarebbe stata condannata a soffrire la fame perche i compari erano
obbligati a farsene carico. Questi, inoltre,
avevano il diritto di sostituirsi ai genitori per redarguire i loro figliocci
in caso di cattivo comportamento. Anche in Abruzzo era celebrata la morte del Carnevale ma la donna vestita a lutto che lo accompagna al rogo e la "moglie di Carnevale" Per quanto concerne la
continuita' culturale, significativo e' il fatto che uno dei
personaggi mascherati (mascari), "lu diavulu"', nella frazione di Vallimpuni, un tempo rincorresse e toccasse le giovani donne,
usanza che continua nel tempo la cerimonia romana dei luperci propiziatrice di fertilita' (POLIA 2002: 167-169; 224-226). E nota, inoltre, la relazione
fra feste di Carnevale - che nel medioevo e nel rinascimento iniziava a gennaio
e,a volte, alla fine di dicembre, e i Saturnalia romani.
(Mario Polia "Mio Padre mi disse")
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